Le suggestive calli veneziane, tipicamente avvolte da un’atmosfera di silenzioso mistero, cominciano ad animarsi con colori nuovi dati dalle variopinte maschere delle settimane del Carnevale. Sembra quasi un vociare indistinto quello che echeggia tra i vicoli e i quartieri della Serenissima e che nasconde, dietro le sue pittoresche maschere e i suoi costumi, uomini e donne che rendono, quello di Venezia, il Carnevale per antonomasia.
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Ingeborg Gärtner-Grein
Sarebbe tuttavia limitante credere che queste celebrazioni si esauriscano a quanto scolpito nell’immaginario comune, ormai fissato da report televisivi che ne elogiano per pochi minuti i momenti salienti. Le radici del Carnevale veneziano, infatti, hanno una storia ormai millenaria, venendo esso citato, per la prima volta, in un documento del 1094 che porta la firma del Doge Vitale Falier.
Come quasi ogni festività legata ai culti religiosi, la sua storia ricalca la necessità, già avvertita ai tempi dei romani, di dare alla popolazione la possibilità di divertirsi e di trasformare le strade della propria città in un vero e proprio palcoscenico in cui fare festa e scrollarsi di dosso, attraverso scherzi e burle, i pesi e le ingiustizie della vita quotidiana. Così, elemento clou della festa non poteva che essere l’anonimato: attraverso i costumi e le maschere, tutti i partecipanti venivano messi sullo stesso gradino, senza più differenziazioni di ceto e provenienza, in una società, quella della Repubblica Veneta, nota per avere rigide regole soprattutto sulla morale comune e sull’ordine pubblico.
L’oligarchica Venezia diede ufficialmente il via al Carnevale nel 1296, emanando un editto in cui si dichiarava festivo il giorno prima della Quaresima. In origine, il tempo della festività si susseguiva per ben sei settimane, da fine dicembre fino ad arrivare agli ultimi giorni di gennaio…tuttavia, straordinariamente, vennero concesse autorizzazioni che, nel ‘700, portarono il Carnevale a durare anche diversi mesi!
È, appunto, nel XVIII secolo che la Serenissima cominciò a incuriosire e attrarre le altre corti europee, tanto che le sue strade iniziarono ad animarsi di volti nuovi, giunti in città per vivere sulla propria pelle, o meglio con la propria maschera, il pittoresco evento della laguna.
Ai giorni nostri, il mascherarsi viene vissuto come momento in cui lasciarsi andare al divertimento e all’ilarità di una festa fatta di gente, musiche, spettacoli e colori. Tra le calli e i rii comincia allora a imporsi il saluto antico, che recita “Buonasera, signora Maschera”, ricordando la tradizione dell’anonimato. Adesso, tuttavia, questo celarsi dietro un costume non è più simbolo di liberazione dalle catene di una quotidianità non rappresentativa di sé, ma un momento di gioia e allegria da condividere come una grande comunità che, consapevolmente o meno, porta avanti una delle più importanti tradizioni della nostra cultura.
immagine di copertina - Filipe Cardoso
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