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Chiacchiere da bar

Il bar come luogo di definizione della nostra identità sociale.

Che la convivialità sia di casa in Italia è cosa nota da tempo. Entrare con disinvoltura in un bar, sorridendo ai visi noti e ordinando “il solito” - alle volte entrare e basta, sapendo già che cosa ci verrà servito - è un forte indizio di quanto il senso di appartenenza vada a braccetto con quello di eccellenza. E se la nostra identità la definiscono le realtà con cui ci relazioniamo e i luoghi che frequentiamo, non c’è da sorprendersi che i bar siano tra i luoghi che lo fanno meglio.

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Potremmo stare ore a discutere sull’origine del nome e su quale sia stato il primo bar dello Stivale. La verità è che non riusciremo comunque ad arrivare ad una degna conclusione. Per questo penso che più che concentrarsi sul cosa sia importante capire i come, analizzando come il bar è diventato un compagno così fedele della nostra quotidianità nel corso del tempo, e quali sono i suoi punti di forza ancora oggi.

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Il bar è sempre stato a tutti gli effetti un ecosistema sociale a sè. Fin dai primi “caffè” italiani, risalenti a metà del XIX secolo, dove la borghesia amava ritrovarsi per sostituire la noia con la mondanità.

Ma per la prima vera inversione di rotta verso i bar come li conosciamo oggi bisogna aspettare il primo dopoguerra e il relativo boom economico del Paese, durante cui questi luoghi da esclusivi diventano via via sempre più popolari. E così, poco per volta, il bar è diventato un luogo pubblico regolato da leggi implicite. Uno spazio neutro in cui ci si sente accolti indipendentemente dalla propria classe sociale, economica e culturale. Qui tutti giocano un ruolo da protagonisti, clienti compresi. Basta pensare come gli habitué occupino gli spazi con familiarità e disinvoltura, stabilendo (o rimarcando) il loro rapporto di fiducia e amicizia con il barista. E a proposito di spazi, il bancone è senza dubbio quello che si presta meglio a questo tipo di attività. Qui infatti ci si può dilungare in chiacchierate più o meno approfondite di vita ordinaria, la propria e quella degli altri, diventandone così inevitabilmente abili conoscitori.

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Altro elemento da non sottovalutare e che rende i bar tra i migliori alleati del nostro italian mood è la quotidianità. Ogni momento della giornata occupa infatti uno spazio tutto suo all’interno di un bar. La colazione, per esempio, è il momento in cui si percepiscono maggiormente i rapporti di familiarità tra una parte e l’altra del bancone. La clientela spesso è abituale, scandita a sua volta dagli orari e gli impegni di lavoro. Molti prendono il solito senza nemmeno bisogno di ordinarlo: una specie di codice muto che sottolinea il livello di intimità delle relazioni, come ci ricorda D.Pettinato nel suo “Etnografia al bancone”. Inoltre, a differenza di tutti gli altri momenti della giornata, quello della colazione è l’unico in cui è tollerato - se non addirittura gradito - il silenzio. Dalla colazione in avanti i caffè diventano più dinamici e movimentati, presi durante una pausa dal lavoro o tra i vari impegni della giornata. E così si arriva velocemente alla pausa pranzo, in cui il bar diventa il rifugio perfetto per spezzare velocemente la giornata lavorativa con informalità e conforto. Ma il momento più atteso di tutti è quello dell’aperitivo. Un vero e proprio rituale durante cui si crea una communitas dove poter finalmente buttare giù i ruoli e le differenze sociali che la giornata lavorativa ci impone, a favore di una dimensione conviviale e comunitaria.

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Insomma, dalla mattina alla sera il bar mantiene la sua dimensione di arcipelago di moltitudini, in cui ognuno di noi si sente a proprio agio ad aprirsi e relazionarsi con l’altro durante un tempo solo apparentemente perso. Certo, da un punto di vista produttivo-commerciale lo è. Ma è proprio quando siamo disposti a fermarci, mettendoci in una posizione di ascolto e adattamento, e ad affidarci alla casualità degli eventi con serendipità, che ci possiamo relazionare con l’altro e scontrarci con la vita stessa.