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Cinque brand italiani che realizzano capi partendo dallo spreco alimentare

Adesso che il plant based è sulla bocca di tutti, il difficile è non rimanerne coinvolti.

E mentre la ristorazione italiana si impegna a proporre menù e percorsi gastronomici in cui la sostenibilità e il vegetale sono al centro, sempre in Italia anche il settore della moda inizia timidamente ad affermare le sue creazioni sostenibili realizzate proprio a partire dallo scarto alimentare.

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L’industria alimentare è, senza ombra di dubbio, una delle più impattanti nel nostro Paese sia nel bene che nel male. Se da una parte, infatti, rappresenta la prima manifattura d’Italia con i suoi fatturati e le sue esportazioni, l’altra faccia della medaglia è uno spreco della materia prima in continua crescita con conseguenze dirette su tutti, specie sulle fasce di popolazione più povere.

Per questo pelle, tessuti e materiali ecologici ricavati dallo stesso cibo che buttiamo non sono solo il frutto di un nuovo trend in voga, ma anche modi per educarci ad una visione più trasversale ed ecologica dei nostri acquisti e dei nostri consumi. Ecco quindi 5 brand italiani che realizzano capi a partire da materiali alimentari di scarto da non perdere:

1.Id.Eight e le sneakers anni ‘90 a base di mais, mele e vinacce

Id.Eight è il progetto di Dong Seon Lee e Giuliana Borzillo, entrambi con alle spalle una carriera nel mondo delle calzature. Id sta per identità, mentre Eight - che nel logo del brand è rappresentato con il simbolo dell’infinito - indica appunto la continua capacità di rigenerarsi, e quindi il principio dell’ecosostenibilità. Da quando si sono trovati in quella che è la loro visione in comune hanno deciso di dare vita a sneakers prodotte utilizzando principalmente gli scarti della lavorazione del mais, bucce e torsoli di mele, e le “vinacce” ovvero gli scarti dell’industria enologica. Entrambi sono inoltre appassionati di moda, e dello stile degli anni ‘90 a cui si rifanno sia nei colori che nelle forme dei loro modelli di scarpe: Hana e Samji.

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2. La MuSkin di Grado Zero

MuSkin è la pelle vegana di Grado Zero: morbida, resistente e antibatterica. Questa start-up toscana ha trovato nel Phellinus ellipsoideus, una specie di fungo molto presente in questa regione, tutte le carte in regola per produrre una pelle completamente vegetale. Si tratta infatti di un fungo parassitario che cresce sulle piante; perciò, rimuoverlo è un’azione positiva per la pianta stessa. Inoltre, la raccolta viene fatta manualmente, perciò l’impatto ambientale è praticamente nullo. Questo nuovo tipo di pelle è perfetto per essere utilizzato in tutti i campi della moda: dalle giacche, agli abiti agli inserti delle borse.

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3. Le Yatay in polimeri di mais di Golden Goose

Se avete la passione per le sneakers un’altra chicca da non perdere è il nuovo progetto di Golden Goose. Questa azienda italiana ha infatti lanciato da poco più di un anno il suo nuovo laboratorio sostenibile Yatay con sede a Erba, in provincia di Como. È qui che producono le Yatay Model 1B: bio-sneakers realizzate a partire da materiali di scarto, tra cui polimeri estratti dallo scarto di lavorazione di cereali e mais che loro utilizzano per produrre l’intelaiatura, la suola e la fodera delle scarpe. Inoltre, ad essere sostenibile è anche il prezzo, rendendo queste sneakers accessibili alle tasche di tutti!

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4. La nuova vita di caffè e banani secondo Tessile Ecologico Biologico

Anche dai fondi di caffè possono nascere fibre innovative e resistenti, perfette per produrre capi di abbigliamento, biancheria intima così come tende e tappeti. A dimostrarlo è l’azienda toscana Tessile Ecologico Biologico con il suo Black Coffee: un filato al 100% naturale ottenuto da tutti i sottoprodotti della lavorazione del caffè, tra cui gli stessi fondi. Il risultato è una fibra che assorbe molto bene l’umidità ed è in grado di controllare gli odori.

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Sempre della stessa azienda è Banano, una fibra molto leggera e morbida perfetta per intimo e lingerie. In questo caso il tessuto è ricavato dalla pianta, e in particolare da quella parte del tronco che viene tagliato per far crescere un nuovo casco di banane. Questa, una volta recuperata, viene suddivisa in vari strati che vengono separati a mano, lavati e fatti asciugare al sole.

5. La realtà siciliana di Orange Fiber a base di pastazzo

Un’altra realtà incredibile è quella di Enrica Arena e Adriana Santonocito, due giovani siciliane che nel 2015 hanno avviato la loro azienda tessile di cui protagonista indiscussa è la buccia di arancia. La sfida è nata in risposta al grande spreco di arance che da sempre colpisce questa regione, insieme a quello relativo a tutti i processi di lavorazione. Enrica e Adriana partono infatti dal “pastazzo”, ovvero lo scarto della produzione del succo d’arancia. Questo rappresenta il 60% del peso del frutto fresco, e loro sfruttano i processi tecnologici per estrarne la cellulosa. Il risultato finale, i filati, vengono poi messi a disposizione di altre aziende tessili italiane, per incentivare la collaborazione e il lavoro in sinergia.

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