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Da Jerry Thomas al Proibizionismo fino ai grandi signature contemporanei: l’evoluzione della mixology d’autore

Guai a chiedere un Mojito, figuriamoci uno Spritz, oggi tutti vogliono bere bene e pure sapere cosa stanno bevendo.

Meno proposte dozzinali o mainstream, solo grandi classici fatti a modo o signature drink creati a regola d’arte. È questo il nuovo trend della miscelazione italiana e internazionale, che negli ultimi cinque-dieci anni ha registrato un inarrestabile boom. Ma quando, come e perché si è sviluppata l'ascesa dei drink?

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Anticamente conosciuta nel nostro Paese con il nome di “bevanda arlecchina” o “polibibita”, la parola cocktail oggigiorno fa parte della lingua italiana seppur abbia tutt’altre origini. Il termine “cocktail” deriva infatti dall’inglese ed è apparso per la prima volta in una dizione ufficiale nel numero del 13 maggio 1806 del Balance and Columbian Repository, newspaper di Hudson (New York). Questa, nel dettaglio, la sua prima definizione: “Il Cocktail è una bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari”. Un vocabolo legato dunque prettamente all’alcol fin dalla sua nascita, che dal XIX secolo è andato evolvendosi e rinnovandosi, sposandosi con la cucina e abbracciando anche la categoria dei mocktail analcolici.

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La prima pubblicazione di una guida che includesse ricette di cocktail è invece del 1862: si tratta di How to Mix Drinks; or, The Bon Vivant’s Companion, del professor Jerry Thomas, nella quale - oltre alla lista delle solite bevande con mix di liquori - si proponevano dieci ricette che erano chiamate “Cocktails”, differenti rispetto alle altre grazie all’uso al loro interno dell’amaro. Il successo dei cocktail, tuttavia, cominciò a crescere nell’America degli anni ‘20, quando i drink a base di superalcolici divennero la bevanda illegale più consumata da coloro che trasgredivano le severe restrizioni del Proibizionismo. Una misura che non riuscì affatto a limitare l’interesse delle cosmopolite città americane, e dei loro cittadini, visto che quando nel 1933 il Proibizionismo terminò (XXI emendamento) in tanti avevano già inserito questa “brutta” abitudine nella loro routine quotidiana grazie agli speakeasy e al contrabbando di alcol ad opera della malavita. Proprio a questo periodo si fanno risalire così le prime vere raccolte di ricette per cocktail dell’era moderna, soprattutto in Europa, con le 900 recettes de cocktail et Boissons Americaine a cura del bartender francese Torelli Adolphe e The Savoy Cocktail inglese del 1930.

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Con i bar di tutto l’Occidente impegnati nel cercare di rendere gradevole ciò che servivano al bancone, i cocktail non hanno tardato a imporsi e i più giovani hanno cominciato a esplorare lo smisurato universo della mixology. Bevande intriganti dal sapore esotico o drink shakerati, che hanno progressivamente abbandonato i vecchi cliché e le antiche abitudini, facendo nascere una vera e propria cultura del bar. Prima per pochi, oggi per tanti. Quasi tutti.