Guidara

Davide Guidara e il manifesto di una nuova cucina vegetale

Già stellato, lo chef Davide Guidara è appena trentenne e la sua è un’appassionante storia di cucina, amore e sacrifici.

Tutti gli anni facevo giorni di assenza a scuola perché andavo a fare le stagioni fuori…il Don Alfonso, due Stelle Michelin; Il Mosaico a Ischia di Nino Di Costanzo, due Stelle Michelin; Le Terrazze a Roma, una stella Michelin; il Sea Grill a Bruxelles, due stelle Michelin; poi con Michel Bras, tre stelle Michelin e infine al Noma di Copenaghen, tre stelle Michelin”.

Un curriculum esemplare quello del giovane campano trapiantato fin dai 23 anni in Sicilia. Ma qual è stato il percorso che lo ha portato fino all’ambita stella rossa e a quella verde? Scopriamo insieme quando si è accesa la scintilla che lo ha guidato durante tutto il suo percorso: “Allora, io ovviamente non ne ho memoria, ma a 9 anni rientro a casa dei miei dicendo che volevo fare lo chef! Ovviamente, sai, a 9 anni non è che prendi proprio sul serio la cosa… Ci sono bambini che vogliono fare gli scienziati, gli astronauti… ma la scelta fu confermata nel momento in cui, finite le scuole medie, decido di fare l’alberghiero”. 

Davide inizia così i suoi primi passi in cucina, rimboccandosi le maniche all'istituto alberghiero di Castelvenere, in provincia di Benevento: “Come si può immaginare, in una famiglia borghese campana questa cosa non è stata subito ben accetta…all’inizio mia madre non voleva”, ricorda lo chef. Il padre invece, proveniente dalle case popolari di Messina, incoraggiò sin da subito il figlio a perseguire il suo sogno lasciandolo libero di fare ciò che più preferiva. “Quindi iniziai ad andare all’alberghiero, scelta di cui poi mi sono pentito negli anni…perché purtroppo non ti forma né sotto il punto di vista professionale, né sotto il punto di vista personale…” spiega lo chef.

Esterni

Intanto, durante il periodo scolastico Davide comincia a vivere la sua prima esperienza in cucina: “lavoravo la sera del venerdì e del sabato e la domenica a pranzo in un ristorante sotto casa, che era un’osteria che per dieci anni ha vinto il premio rapporto qualità/prezzo del Gambero Rosso”. 

Ma oltre al lavoro invernale, quando era ancora un ragazzino rinuncia alle vacanze per intraprendere il suo cammino tra gli stellati, partendo proprio dalla sua terra: si destreggerà prima nella cucina di Don Alfonso a Napoli, per poi spostarsi sull’isola di Ischia in cui imparerà da Nino Di Costanzo nel ristorante Il Mosaico. Da Le Terrazze a Roma, Guidara spiccherà poi il volo verso il Sea Grill di Bruxelles, poi lavorerà al fianco di Michel Bras, custodendo gli insegnamenti del suo piatto iconico, il Gargouillou, per infine approdare all’ambitissimo Noma di Copenaghen, tre stelle Michelin e in precedenza nominato primo ristorante al mondo nella classifica World’s 30 best.

“Posso garantire che gli ambienti nei tre stelle, o comunque nel settore di lusso, sono pesanti…” confessa lo chef.

Abituati ormai a una cultura televisiva e cinematografica che esalta le professioni in cucina, facendone vivere i retroscena quasi romanticizzando gli aspetti più duri e di sacrificio di questo mestiere, viene spontaneo domandarsi cosa abbia vissuto, ma anche patito, in quegli anni Davide: “Mi hanno detto che dovevo cambiare lavoro, oppure un’altra volta, dopo aver chiesto al sous chef com’erano le mie zucchine me le ha lanciate una per una per terra e me le ha fatte raccogliere perché erano tagliate male…ma questo succede tuttora in alcune cucine”, afferma Guidara.

Una formazione tutt’altro che solo tecnica quella a cui sono sottoposti gli aspiranti chef, dunque: “È una terapia d’urto, chi è forte sopravvive…”, ammette lo chef: “Si lavora in un regime di perfezione e se ne diventa malati. Normalmente nelle aziende il lavoro viene diviso tra tanti ranghi e prima di portare fuori un progetto passa del tempo. Invece lì no, in cucina quello che prepari la mattina viene servito la sera, quindi pensa al senso di responsabilità che noi abbiamo”. 

Cardoncello

E non solo verso i commensali, la pressione la si ha pure nei confronti di Michelin, infatti, continua Davide: “Loro non si presentano, non si sa chi sono…vengono, mangiano, se ne vanno e ti valutano. Quindi tu oltre a lavorare in un regime di perfezione, devi averlo costante, è quello lo stress. Tutte le sere devi fare quello”. 

Quando si assapora un ambiente di super lusso ed eccellenza viene quasi difficile pensare ai retroscena: tutto appare in ordine e lineare, protetto da una campana di vetro.

Mentre, al contrario, dietro ogni piatto che esce dalla cucina e alle spalle di ogni sorriso ci sono sacrifici e, forse, non sempre si è pienamente felici.

“Io non sono quasi mai soddisfatto di quello che faccio e ogni volta penso che ci siano margini per fare qualcosa in più” dice Davide, che però, ovviamente con il proprio menù e questi incredibili risultati stellati non può che gioire: “Sotto il punto di vista personale io oggi sono stracontento del menù che stiamo facendo e di diversi piatti che abbiamo, se non di tutti. Ma col tempo alcuni piatti che prima vedevo come giusti mi rendo conto abbiano margini di miglioramento”.

Autocritico, attento e sempre pronto a rimettersi in gioco, il caparbio Davide Guidara finisce nei Best Under 30 di Forbes e si dice volenteroso di continuare a crescere in questo giro fatto dagli Optimi.  Prima di spostarsi alle isole Eolie e di entrare a far parte del noto gruppo elitario fatto dai migliori, Davide, appena ventitreenne, vive la sua prima esperienza da chef all’Eolian Inn di Milazzo, durante la quale viene insignito del premio Best in Sicily. Dopo un’altra esperienza al Sum di Catania accetterà, finalmente, la proposta della persona che gli cambierà la vita, il direttore del Therasia Umberto Trani e, insieme a lui, comincerà a sviluppare il suo progetto vegetale che vedrà luce ne I Tenerumi.

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“Nei primi sei mesi di apertura prendiamo la Stella Rossa e la Stella Verde e anche il premio Chef Giovane dell’anno. Al ristorante sviluppiamo un manifesto di sette punti dove abbiamo raccontato ciò che facciamo, ciò che per noi rappresenta il presente e il futuro della cucina vegetale”, afferma entusiasta Davide raccontando del suo progetto sull’isola di Lipari, nell’arcipelago eoliano

La cucina dello chef Guidara (che è onnivoro, per chi se lo stesse domandando) è una cucina diversa, che punta a raccontare qualcosa di differente rispetto alla solita narrazione vegetariana e vegana. Non vuole far mangiare qualcosa perché fa bene, ma semplicemente perché è buono.

“Il menù degustazione è di 21 portate”, afferma orgoglioso lo chef, che continua: "e abbiamo un piatto che ormai sono tre anni che è in carta: un cardoncello che viene cotto prima in una pentola a pressione, dopodiché macerato per quattro giorni con vino di funghi, prezzemolo e aglio, dopo lo affumichiamo e infine lo lacchiamo con una crema di funghi ossidati e poi lo cospargiamo con un olio alla paprika”. 

Il cardoncello alla brace è ormai il piatto signature dello chef che, però, si congeda rivelandoci il suo cibo preferito: pane e pomodoro, legato ai suoi ricordi più belli…  testimonianza del fatto che sono, in ogni caso, le cose più semplici quelle a rimanere nel cuore.