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Intervista a Carlo Ratti: l'uomo del futuro

Dopo ben 25 anni, torna un italiano a curare il più importante evento di architettura al mondo: la Biennale di Venezia - dal 10 maggio al 23 novembre 2025.

L’italiano in questione è Carlo Ratti, 53 anni, torinese di nascita, architetto e ingegnere, un enfant prodige dalle mille idee, al centro dell’attenzione e dell’analisi di molti - critici e colleghi compresi. Dal suo lungo curriculum già si capisce il moto che ha dentro: laurea al Politecnico di Torino, ha viaggiato tra Francia, Regno Unito e Stati Uniti per master, dottorati, cattedre, conferenze, curatele. È co-autore di oltre 750 pubblicazioni scientifiche e Blueprint Magazine lo ha inserito nella lista delle "Persone che cambieranno il mondo del design".

Gaggiandre2-Photo by Andrea Avezzù-Courtesy of La Biennale di Venezia_AVZ9480

Lui, come ci racconta in questa intervista, si definisce “interlocale”, un genio italiano che si sente a casa in più luoghi allo stesso tempo, ha una grande passione per la tecnologia e crede fermamente che l’Architettura possa cambiare in meglio il mondo. Ci riuscirà?

Sei il nuovo curatore della più importante Biennale di Architettura del mondo, quella di Venezia del 2025. L’ultimo italiano a curarla prima di te è stato Massimiliano Fuksas nel 2000. Come hai affrontato questa sfida e quali obiettivi ti sei posto?

Carlo Ratti: Si tratta di un grande onore, e ne sono molto felice. Ho voluto concentrarmi sul tema delle “intelligenze”, da cui il titolo: “Intelligens”. Declinando il verbo latino intelligere scorgiamo, nelle ultime lettere della parola, il sostantivo gens, ovvero “popolo” in italiano. A ricordarci, o piuttosto a evocare, la necessità di una intelligenza plurale. Un’intelligenza che possiamo definire come la capacità dei viventi di rispondere alle condizioni dell’ambiente esterno a partire da un bagaglio di risorse, conoscenze e potere limitati. Ovverosia ciò che da migliaia di anni è prerogativa dell’architettura. L’obiettivo? Mettendo insieme intelligenza naturale, artificiale e collettiva, vorrei che l’architettura – da tempo tra i primissimi responsabile del rilascio di emissioni nell’atmosfera – trovi soluzioni pratiche alle sfide che ci attendono, prima su tutte quella del cambiamento climatico.

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Quali sono le innovazioni che apporterai a questa Biennale?

CR: Mi piace pensare all’idea di Opera Aperta, come esposta da Umberto Eco. Prendiamo ad esempio la natura, che procede per stadi differenti e non c’è mai un progetto completato: la natura è un’Opera Aperta. Vogliamo mettere in dialogo le tre intelligenze – naturale, artificiale e collettiva – nel modo più costruttivo possibile attraverso un percorso di “trial and errori”. L’Architettura per anni è stata parte del problema ecologico: adesso è tempo che diventi parte della soluzione.

I temi dell’innovazione e della tecnologia sottendono molti tuoi progetti e pubblicazioni. Dal tuo punto di vista, soprattutto in Architettura, che impatto pensi avrà l’Intelligenza Artificiale e soprattutto le implicazioni etiche che ne stanno derivando?

CR: Oggi tutti pensano a ChatGPT, che effettivamente avrà moltissime applicazioni. Però il concetto di intelligenza è più ampio, come vedremo a Venezia.

Ricordiamoci che ChatGPT non è che un “idiot savant”: sa tutto, ma non produce niente di nuovo. È come se sintetizzasse per noi migliaia di ricerche di Google, fornendoci il distillato di cui abbiamo bisogno. Lo stesso vale per le immagini: provate a chiedere a questi sistemi una casetta in legno immersa nella natura e vicino a un corso d’acqua. In pochi secondi forniranno una mirabile sintesi tra Fallingwater di Frank Lloyd Wright, Farnworth House di Mies van de Rohe, magari una facciata in legno alla Baumschlager Eberle e un interno alla Matteo Thun. Oltre a mille altri riferimenti visivi che avrete difficoltà a discernere.

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Oggi siamo al livello text-to-image, cioè dalla descrizione testuale a una immagine. Ma basteranno pochi anni per arrivare a text-to-BIM – dalla descrizione testuale al progetto vero e proprio. Sarà la “morte dell'architetto”? Moriranno certo molti aspetti della nostra professione – quelli più ripetitivi e bassati sulla sintesi di idee preconcette. Ma resterà sempre un aspetto che nessuna IA potrà scalfire – inventare quello che ancora non c'è.

Per citare Bruno Zevi: «Gli artisti autentici, creatori di linguaggio, sono sempre pochissimi; li contorna una schiera di “letterati”, professionisti aggiornati che edificano correttamente, con un vago tocco di ispirazione, ma in prosa, non in poesia; segue la marea dei plagiari; tra questi, presuntuosi e retori scambiano il grande con il grosso. Ignorando il lessico, la grammatica e la sintassi della modernità, costruiscono in “stile moderno”, cioè, nel caso migliore, senza comunicare alcunché». Ecco, credo che l’IA generativa potrà spazzar via i secondi e i terzi cui faceva riferimento Zevi, ma mai i primi… Almeno per il momento!»

Per il futuro, quali sono i progetti e le iniziative su cui stai lavorando? Insomma, raccontaci, dove vuoi arrivare? Qual è il sogno che non hai ancora realizzato?

CR: Il progetto più difficile – spiegare ai sindaci e gli amministratori locali del nostro Paese che le nostre città non devono più crescere. Si tratta di fermare il consumo di suolo e rimettere invece mano a tutto ciò che è stato costruito in passato.