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La Gastronomia italiana attraverso le pellicole più iconiche

Chi non si è mai sentito estasiato, confortato o persino sopraffatto quando, guardando un film, la macchina da presa si posa sul cibo rendendolo così protagonista?

Questo perché a volte riconoscersi nell’atto di consumare un piatto è più forte che riconoscersi nel piatto stesso. Specie se vivi in Italia, e ritrovi nella gastronomia tanto l’amor sacro quanto quello profano.

Goloso, godereccio, dalla texture soffice e dai colori saturi. Il cibo nel cinema è sempre stato fonte di desiderio, come ci ricorda il regista russo Kulešov nel suo primo esperimento cinematografico. L’esperimento, soprannominato appunto effetto Kulešov, vedeva come soggetto l’immagine di un piatto di zuppa - la prima immagine gastronomica a comparire su una pellicola - e le dinamiche di produzione del senso che questa trasmetteva.

Ma il cibo è anche un potente strumento per rappresentare la società. Dalle differenze di classe, a quelle culturali ed economiche pare che tutto passi attraverso la forchetta ancor prima della pellicola.

Ecco quindi una breve, ma dettagliata, lista di film e autori che hanno contribuito a rappresentare l’italianità a tavola dal dopoguerra fino a oggi.

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L’identità gastronomica in Italia nei film comici del dopoguerra

Non potevamo che iniziare dai grandi classici del cinema italiano del dopoguerra. Queste pellicole storiche sono utili, anzi fondamentali, per riflettere sulle abitudini e le usanze dell’Italia di un tempo. La pasta e ceci de “I soliti ignoti” per esempio racconta la povertà di un paese appena uscito dalla guerra ma che si porta ancora dietro lo sfregio. Lo stesso vale per Miseria e Nobiltà, che insieme alla visione di un’Italia povera e segnata dalla fame ci regala anche la testimonianza di quello che inizialmente era la pasta per gli italiani. Niente più che cibo da strada, da mangiare direttamente con le mani, proprio come fa Totò nella scena più famosa del film. Impossibile non nominare poi “Un americano a Roma” celebre pellicola del 1954 che con leggerezza e divertimento mostra come l’identità gastronomica a volte sia più forte delle mode del momento. Tu vuò fa’ l’americano, cantava Renato Carosone. Nei suoi accordi, così come nel film di Steno e Alberto Sordi, c’è tutto lo stile di vita statunitense che si era imposto nel secondo dopoguerra. Un sinonimo di bellavita e spensieratezza che sognavano un po’ tutti gli italiani. Nel film Albertone si veste, si atteggia e mangia come pensa che facciano davvero gli americani. Per questo scarta deciso un piatto di maccheroni (che poi erano i nostri spaghetti di oggi) convinto che oltreoceano si nutrissero solo di pane, marmellata, yogurt, latte e mostarda. Prova così a mangiare un intingolo “americano” preparato sul momento, ma bastano pochi morsi a tornare sui propri passi, impugnare la forchetta e divorare in pochi bocconi quel piatto di pasta.

L’italianità all’estero nei gangster movie americani

Se i film comici italiani del dopoguerra erano incentrati a rappresentare un’identità gastronomica solida e che si lasciava toccare solo marginalmente dalle mode, i gangster movie americani hanno senza dubbio portato l’italianità all’estero. Dagli spaghetti con le polpette in Good Fellas (che poi scopriremo essere un piatto tipico italiano solo nella fantasia degli americani), fino alla cucina di The Irishman senza dimenticarsi però del capolavoro di Francis Ford Coppola. Nel Padrino, infatti, sono molte le scene che sottolineano l’identità italiana della famiglia Corleone. E ovviamente non mancano quelle legate al cibo. Dalle tovaglie imbandite alle innumerevoli scene di preparazione di piatti e pietanze, tra cui spicca quella indimenticabile del ragù. Mentre lo confeziona infatti, Clemenza spiega al giovane Micheal come preparare un ragù a regola d’arte: “Un poco d’olio, ci friggi uno spicchio d’aglio poi ci aggiungi tomato e anche un poco di conserva. Friggi e attento che non si attacca; quando tutto bolle ci cali dentro salsicce e pulpetta, poi ci metti uno schizzo di vino e nù pucurille ‘e zucchero.”

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Mangia, prega, ama

Qui non c’è un vero e proprio piatto iconico, in quanto il cibo è protagonista dell’intero film al pari degli attori. Troviamo una Julia Roberts immersa in un percorso di redenzione, felicità interiore e scoperta che trova la sua massima espressione nella cucina italiana. Dalla combo di caffè e diplomatico, alla pizza napoletana nella Pizzeria Da Michele fino a una tavolata piena di carciofi alla giudia, trippa alla romana e pasta all’amatriciana. Ecco, quindi, che la gastronomia italiana in questo film assume un ruolo a tratti salvifico: la liberazione dell’attrice ai piaceri della vita e un inno al “lasciare andare”. Un significato senza dubbio lodevole. Peccato solo per l’abbondanza di cliché errati e stereotipi superficiali.

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Il cibo per Paolo Sorrentino

Per Giulio Andreotti de “Il divo” l’amatriciana era la sua kryptonite. In “È stata la mano di Dio” c’è il fior di latte di Agerola, mangiato a morsi dall’anziana impellicciata. C’è la salsa che la mamma di Fabietto prepara per la Contessa al piano di sopra, e ci sono i canederli della vicina austriaca che rappresentano l’estraneo, il diverso. Nella “Grande Bellezza” c’è il minestrone di Dadina che riporta Jep Gambardella (interpretato da uno splendido Toni Servillo) alla sua infanzia. Ma ci sono anche gli agi, i vizi e il lusso rappresentati da bottiglie di Cristal, e dai catering estrosi in cui comanda l’abbondanza. Ne “L’uomo in più” invece Tony Pisapia è un cantante, ma nella sua intimità è anche un ottimo cuoco che si diverte a preparare ricette di pesce prese dall’archivio della sua memoria. Insomma, se tutto nella filmografia di Paolo Sorrentino è simbolo, lo stesso vale per il cibo. Cibo che rappresenta l’italiano in tutte le sue sfaccettature: radici, usanze, ricordo, valori e disvalori.

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Call me by your name

Impossibile guardare la pellicola più famosa di Luca Guadagnino senza rimanere commossi. Call me by your name è un inno alla bellezza delle cose semplici, tra cui l’amore. E si sa che l’amore si può trasmettere in molti modi anche e soprattutto attraverso la cucina. Nel suo film il regista ha voluto sottolineare un’italianità genuina. Fatta di frutti appena colti e succhi freschi, colazioni pranzi e cene sulla tavola in giardino, e Mafalda intenta a preparare i tortelli cremaschi. Anche in questo caso la presenza di un americano, Oliver, non fa che esaltare questi aspetti. Il giovane studente, infatti, non perde occasione per fare scorpacciate di frutta, uova alla coque e godersi il convivio intorno alla tavola.

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Luca

A concludere un film d’animazione, Luca, che racconta la storia di due mostri marini che si trasformano in esseri umani pronti per vivere a pieno un’estate italiana sulle spiagge della Liguria. Una Liguria degli anni ‘50 basata inevitabilmente su archetipi e luoghi comuni. Dalle vespe Piaggio, all’atmosfera del dolce far niente che si percepisce nei tavoli dei bar e fuori dalle gelaterie, fino al tripudio di pasta al pesto. In un mosaico di suoni, immagini, luci e colori Luca ci dimostra come anche i film d’animazione possono abbracciare la nostalgia di un’italianità autentica e sempre più sfocata.

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