Franco Pepe è il titolare di Pepe in Grani, una pizzeria che si trova nel cuore di Caiazzo, un piccolo paese in provincia di Caserta, Campania, con una popolazione di appena cinquemila persone. Tuttavia, ogni sera, Pepe riesce a servire circa cinquecento ospiti, un'impresa che gli è valsa il prestigioso riconoscimento di Cavaliere della Repubblica Italiana, conferitogli dal Presidente Sergio Mattarella. Il suo percorso, che lo ha portato a diventare uno dei pizzaioli più rinomati al mondo, è una storia di passione, ricerca e innovazione.
Quando è nato il tuo primo amore per la pizza?
Non è stato un colpo di fulmine. Io sono un ex insegnante di educazione fisica, specializzato anche nel sostegno. Mentre lavoravo come insegnante, aiutavo mio padre nella pizzeria di famiglia. Quando ho perso mio padre all’improvviso, ho capito che preparare una buona pizza, ricevere un sorriso o un complimento da un cliente, mi dava emozioni che non avevo mai provato insegnando. Queste emozioni mi hanno spinto a cambiare strada e a dedicarmi completamente al mondo della pizza.
Come è nato Pepe in Grani?
Pepe in Grani è nato da una profonda esigenza personale, un progetto che sentivo dentro di me. Ho ascoltato molto i clienti e ho capito che era arrivato il momento di portare la pizza a un nuovo livello. La mia idea era quella di trasformare la pizzeria in un luogo di incontro, un concetto “slow”, dove il tempo e la qualità diventano i protagonisti. Ho investito molto nella formazione del personale e ho voluto ridare dignità al mestiere del pizzaiolo, tradizionalmente considerato pesante e usurante, trasformando la pizzeria in una locanda che valorizza la lentezza e la cura nella preparazione.
Qual è il segreto del tuo impasto?
Il mio impasto si basa su una ricetta che risale agli anni '30, ereditata da mio nonno. La mia famiglia non ha mai smesso di panificare, e quando ho deciso di creare Pepe in Grani, ho lavorato per ottenere un blend di grani, che oggi chiamo “zero Pepe”, selezionato da me. Utilizzo grani non trattati, che garantiscono un impasto a basso indice glicemico e altamente digeribile. Questa attenzione alla qualità e alla salute è qualcosa che il cliente percepisce, anche se non sempre lo sa esplicitamente.
Qual è la tua pizza preferita?
Molti mi chiedono quale sia la mia pizza preferita, ma devo dire che non è una delle mie creazioni. Il Calzone alla scarola, preparato da mio padre Stefano solo per sé e pochi amici intimi, è il mio preferito. Il profumo e il sapore di quel calzone, nella sua semplicità, rimangono insuperabili per me. Anche se sono stato premiato per molte delle mie pizze, quel calzone rappresenta per me uno stimolo continuo a migliorare e a superare me stesso.
Cosa vuoi trasmettere con la tua pizza?
Attraverso la pizza, voglio raccontare un territorio e nutrire le persone. C'è un grande lavoro di ricerca dietro ogni ingrediente, ogni prodotto. Oggi la pizza non è solo un pasto, ma un mezzo per comunicare valori, per educare al buon cibo e al rispetto per l'ambiente. Come dice Carlin Petrini, “Noi siamo quello che mangiamo,” e anch'io sostengo fortemente questa tesi. Non si tratta solo di stare insieme, ma di nutrirsi in modo consapevole. Ho collaborato con l’Università e con AIRC Milano e Italia per sviluppare pizze che rispondano a criteri di salute e sostenibilità, ottenendo il loro “bollino” su sette pizze.
Che cos’è per te il genio italiano?
Il genio italiano è come un cocktail fatto di competenze, creatività e intuizione. Nell’italianità vedo quel “quid” in più, quella capacità di combinare le competenze con l'intuizione. Ricevere l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana è un grande onore, ma per me è anche un modo per passare un messaggio alle nuove generazioni: anche un percorso umile, come quello del panettiere o del pizzaiolo, può portare a risultati importanti e a riconoscimenti istituzionali.
Cosa rappresenta oggi la pizza italiana nel mondo?
Quando si parla di pizza, senza presunzione, si può dire che la pizza è l’Italia. Oggi è uno dei pasti più consumati al mondo, il che rappresenta una grande responsabilità per noi pizzaioli. Il modo di fare la pizza è cambiato rispetto al passato, e dobbiamo essere all’altezza delle aspettative globali.
Quale sarà la pizza del futuro?
La pizza del futuro sarà più “responsabile”. Il sano sulla pizza. Ci sarà un lavoro maggiore sulla ricerca delle materie prime e sulla sostenibilità. In un mondo segnato da guerre e siccità, trovare certe materie prime sta diventando sempre più difficile. Tuttavia, la pizza può essere un mezzo per salvaguardare un territorio. A Caiazzo, dove c'erano una quarantina di contadini, oggi ci sono quaranta aziende. Ho cercato di aiutare il territorio, di tutelare certi prodotti e di salvare la nostra biodiversità.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mio futuro sarà dedicato alla formazione, in particolare di quei ragazzi che credono di non avere un futuro. Voglio dare loro gli strumenti per costruirsi un avvenire, affinché possano credere nelle loro capacità e raggiungere i propri obiettivi.