Giorgio e Sonia Mercandelli ci hanno accolto calorosamente nella loro casa-cantina di Canneto Pavese; abbiamo scoperto questa realtà unica grazie a Nicola Perullo, professore e scrittore nonché caro amico del vignaiolo-alchimista.
Casa Mercandelli si erge come un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, un capolavoro dove la luce danza con l’armonia degli spazi, creando un’aura di misticismo e serenità. Ogni angolo riflette il ritmo e l’essenza di chi lo abita, intrecciando design e natura in un equilibrio perfetto. Qui, la dimensione del quotidiano si dissolve e l’ambiente invita alla contemplazione e alla connessione con sé stessi. Un rifugio che celebra l’eleganza e la quiete, plasmato per nutrire l’anima e la creatività.
Siamo arrivati qui senza troppe aspettative e pregiudizi, ma con grande curiosità per un pranzo conviviale dai risvolti rivelatori.
Fin da subito, Giorgio Mercandelli esprime una visione personale e filosofica del vino e della vita, proponendo una rivoluzione interiore, piuttosto che esteriore, che si basa su una relazione consapevole e profonda tra la vite e la vita, con l'obiettivo di riflettere il valore assoluto della qualità. Il vino, per lui, non è un prodotto, ma un simbolo che connette la natura e l'uomo al senso della loro esistenza.
Un’infanzia segnata dal contatto con il mondo del vino e una vita familiare agiata ma caratterizzata da conflitti interni. Il momento di svolta nella vita di Mercandelli avviene con la morte del padre, che lo porta a una profonda riflessione sul senso della vita e del vino, ispirandolo a cercare una purezza che trascende i limiti umani. Il vino diventa per lui uno strumento per riportare l'eternità in ogni bottiglia.
Un episodio significativo avviene nel 1995, quando sperimenta un profondo senso di unità con l'universo nel vigneto di famiglia, da cui nasce la sua idea di un vino che possa riflettere questa esperienza di consapevolezza e di connessione con la realtà più profonda.
Trovo la mia realizzazione nella purezza di un vino che non riflette il sapore dell’uva, destinata a fermentare e morire, ma che invece vive come eterno. Questo vino proviene dal futuro della realtà, capace di creare e trasformare il frutto nello stesso modo in cui ha plasmato e trasformato l’uomo, fin dall’origine del Tutto.
sostiene il vignaiolo-alchimista.
Mercandelli vede il vino come un’opera unica, una sintesi di armonia tra entropia e sintropia, tra materia e spirito. Ogni bottiglia è un’espressione irripetibile della vita, un riflesso del presente che incorpora il passato e proietta il futuro.
“Non voglio che il vino rifletta i miei limiti, ma la vita della coscienza”, spiega, sottolineando come la sua creazione non segua logiche produttive ma un percorso creativo autentico e senza compromessi.
“La rivoluzione del gusto” rappresenta una filosofia che unisce il vino, la vita e l'esistenza umana in un percorso di ricerca della purezza e dell'eternità, dove il vino diventa metafora di una trasformazione personale e collettiva. Ogni bottiglia, unica come ogni vita, racconta la storia del vigneto e l’esperienza di chi la degusta, creando una connessione profonda e trasformativa. Per Mercandelli, questa è la missione ultima del suo lavoro: portare nel vino un frammento di eternità che unisce uomo, natura e coscienza.
Come e quando hai iniziato la produzione di vino?
Quando ho iniziato a produrre vino avevo circa 16 anni. Ai tempi studiavo agricoltura ed enologia, e con la mia famiglia avevamo una piccola azienda agricola; perciò, l’ingresso nel mondo del vino è stato abbastanza naturale per me. Ho iniziato a sviluppare il pensiero di produrre vino perchè mi rendevo sempre più conto che era la cosa più semplice da fare dato che il vino, praticamente, si faceva da solo. Così ho iniziato a sperimentare con le prime produzioni, ma ero ancora ben lontano dalla filosofia di produzione che seguo oggi.
Che cosa si intende per vino alchemico?
Il primo a definire il mio vino alchemico è stato il vicedirettore del Corriere della Sera, durante un’intervista in occasione di un premio che ci è stato dato come migliori viticoltori dell’anno. Una riflessione che nasce dopo avergli spiegato che per noi il vino rappresenta l’esperienza della vita di un vigneto allo stesso modo in cui riflette il percorso coscienziale di una persona. Vino alchemico è quindi una sostanza purissima che esprime il gusto della propria esperienza e non il gusto del frutto, che per noi è solo un veicolo e un ”contenitore” che non ha nulla a che vedere con quello che è il percorso di immortalità della pianta che esprime il vino. A questo modo, infatti, il vino non è altro che la rinascita della pianta nella sua stessa realtà ma, semplicemente, in una forma diversa. Più che di vino possiamo dunque parlare di un liquido puro, che deriva dal risultato di un dominio di coerenza della coltivazione del vitigno in cui non ci sono nè concimanti nè prodotti chimici. Non perchè riteniamo che queste sostanze siano negative per l'umanità, ma perché vogliamo che la pianta esprima nel frutto il gusto della propria esperienza, non il gusto del frutto.
La filosofia da cui nascono i tuoi vini a che cosa si ispira?
La filosofia da cui nascono i miei vini è profondamente legata alla mia paura della morte e alla mia ricerca per darle un senso, di modo da dare un significato più grande anche per la vita. Ripensando al mio percorso, sia di vita che professionale, non c’è stato un fattore scatenante nello specifico, ma piuttosto l’epifania di un’esperienza olistica che mi ha portato a vedere me stesso come parte di un tutto, in cui ogni persona riflette un’unicità che si può esprimere attraverso i miei vini. Per questo i miei vini non seguono un processo produttivo convenzionale. Piuttosto, nascono dalla mia visione del presente e della vita, dove ogni grappolo contiene l'essenza della vita stessa, riflettendo un'esperienza eterna che non è limitata dalle circostanze temporali o geografiche. Fare vino diventa quindi una forma d’arte che esprime la vita in modo unico e irripetibile.
Qual è il processo di produzione del tuo vino e in cosa si differisce e distingue dagli altri?
Il vino per noi è l'esperienza di vita del vigneto, che qui viene coltivato in un dominio di coerenza dove non ci sono concimazioni, e in generale non vengono usati prodotti chimici. Il vino che noi realizziamo non nasce quindi da un processo produttivo ordinario, perché non ha le caratteristiche sistematiche di un processo che ha innanzitutto una ritualità e un fine coerente con un risultato. Al contrario, per ottenere, diciamo, nella nostra sensibilità il gusto di questa esperienza, noi facciamo fermentare questi frutti purissimi fino a che non tornano all'origine, cioè tornano a quell'essenza di acqua che era la stessa acqua che scorreva come linfa nelle piante. A questo punto quella stessa acqua la ricopriamo dalle botti e quindi dopo una fermentazione profonda ciò che si otterrà sarà acqua colorata che per sette anni rimane senza gusto, profumo e senza nessun'altra condizione sensoriale se non in bottiglia, dove quell'acqua riconosce il frutto della propria esperienza come gusto. Per questo il vino per come lo facciamo noi riflette esattamente quello che siamo (e sono le piante) nel presente. Questo perché pensiamo che a quei livelli i grappoli posseggano tutti i contenuti logici della vita, e sono quindi capaci di riflettere la loro esperienza di vita nel presente. Perciò il vino riflette esattamente quell'orologio che ha l'eternità di fissare la vita in un determinato momento, dove il gusto non è più legato alla varietà, al territorio o alla sua trasformazione ma al gusto di un'esperienza. Cioè l'esperienza della nostra esistenza che attraverso il vino viene percepita come l'unico vero gusto della vita.
Il vino in Italia ha un forte valore simbolico, dal punto di vista anche di spirito di aggregazione, secondo il tuo pensiero invece il vino cosa rappresenta? Pensi ci possa essere un cambio di atteggiamento in relazione al concetto di bere?
Il vino rappresenta un’esperienza che amplifica la nostra consapevolezza del mondo, restituendoci la gioia di esistere. Ancor prima di osservare la realtà esterna, il vino ci immerge in un insieme di elementi che precedono qualsiasi forma concreta, offrendo la possibilità di essere co-creatori del nostro vissuto. Non impone schemi mentali, piuttosto li dissolve, stimolando la mente a diventare essa stessa artefice della nostra realtà. La vite, in un certo senso, libera la mente dalle "griglie" su cui siamo spesso abituati a tracciare percorsi predefiniti. Per svolgere questo ruolo, tuttavia, è necessaria una libertà intrinseca, la stessa che la pianta ha vissuto durante la sua crescita. Altrimenti, il processo si riduce a tecniche che servono solo a produrre, piuttosto che esprimere qualcosa di autentico. Nonostante ciò, l’enologia offre molte esperienze straordinarie, e non si tratta di trovare un vino migliore o peggiore, ma di riconoscere che, come le persone, ogni vino racconta una storia diversa. Non è questione di separare, ma di comprendere la varietà dei percorsi. Anche il vino del supermercato ha il suo valore simbolico, ma sta a noi scegliere quale realtà desideriamo vivere. La bellezza che la natura ci offre attraverso il vino non riguarda il giudizio, ma l’apprezzamento della vita stessa. Non si tratta di indicare agli altri come essere migliori, ma di riscoprire il piacere di esistere, senza la necessità di essere speciali o straordinari, ma semplicemente unici.
Come pensi possa cambiare l’esperienza del vino per chi lo beve e per chi lo crea?
Negli ultimi anni, ho notato un cambiamento radicale nell’approccio alla gastronomia e al vino. In passato, credevo che la direzione fosse dettata dai grandi chef o produttori che avrebbero illuminato il cammino, ma ora vedo una rivoluzione diversa. La vera trasformazione nasce dalla consapevolezza delle persone, che iniziano a distaccarsi da ciò che non risuona più con la loro esistenza. Si sta sviluppando una nuova sensibilità, ovvero la crescente sensibilità legata al valore del denaro, poiché le persone non sono più semplicemente attratte dal denaro in sé, ma piuttosto da ciò che considerano meritevole di essere acquistato. La consapevolezza di aver speso bene si manifesta nella scelta di investire in ciò che arricchisce davvero l’esperienza personale. Quanto più una persona diventa consapevole, tanto più capisce il valore di ciò che acquista, poiché ogni acquisto rappresenta non solo una necessità materiale, ma anche un'opportunità di crescita e arricchimento personale. Le persone stanno iniziando a comprendere che il vero valore si trova nelle esperienze che scelgono di vivere, nelle scelte consapevoli che fanno riguardo a ciò che consumano, o meglio, di ciò di cui si nutrono.
Man mano che aumenta questa consapevolezza, si comprende meglio cosa merita davvero l'investimento, non solo in termini economici, ma in termini di crescita personale. Il vino, in questo contesto, diventa molto più di una semplice bevanda: è un mezzo attraverso il quale si esplora il territorio, la cultura e la propria evoluzione come individuo. Non importa quanto si possa spendere: anche chi ha meno mezzi può trarre valore dalle esperienze, comprese quelle legate al vino, perché ciò che conta è il percorso di consapevolezza e crescita che ne deriva.
La sfida, però, risiede nel cambiare il modo in cui le persone percepiscono il valore. Troppo spesso, il valore è attribuito a ciò che si possiede, piuttosto che a ciò che si è. L’esperienza del vino potrebbe quindi evolvere diventando non solo una questione di gusto o qualità tecnica, ma un percorso di consapevolezza personale, in cui ogni sorso diventa un’opportunità per connettersi più profondamente con sé stessi e con il mondo che ci circonda.
Se dovessi “etichettare” il tuo vino dal punto di vista produttivo, in quale categoria ti inseriresti, se esiste?
Non mi piace pensare di dover “etichettare” il mio vino all'interno di una categoria, ma se dovessi farlo lo definirei un vino d’autore, poiché riflette la vita stessa di chi lo produce. L’autore, in questo caso, è colui che trasmuta la propria esperienza di vita in un’opera artistica, che va oltre il prodotto sensoriale. Sotto il profilo artistico quindi, tutte le bottiglie sono esperienze uniche e irripetibili di una persona che in quel momento ha messo tutto quello che aveva di importante in quello che fa, che è la propria vita. L’autore è colui che arriva a produrre l’opera che parla per il proprio percorso di vita e l’autore è quello che trasmuta quel percorso esprimendola sotto il profilo della propria unicità. Quello che oggi si contrappone a ciò che viene detto in maniera entropica dell’intelligenza artificiale, rispetto all’intelligenza artigianale, io appoggio questa considerazione su un concetto che l’artigianalità riflette un’espressione artistica della vita, non una legata a una piccola quantità di persone che però sono identiche al sistema, e che seguono una pratica produttiva. L’artigianalità vista come artisticità di un’unica persona, per me è condivisibile e anche corrispondente. Io non faccio il vino per me, faccio il vino per la vita. Non riesco a farlo per me perché non riesco neanche a berlo. È come se io mi dovessi digerire e la sensazione che provo nel berlo solo come degustazione è molto superficiale; quindi, non mi piace avere un’esperienza superficiale della mia esperienza stessa. Lo faccio per portare avanti la vita. La vita come esperienza immortale, come lato quantistico della stessa eternità che si riflette nella realtà.
Qual è il ruolo del tempo e dell’affinamento nel processo creativo del tuo vino, e come si differenzia l’identità del frutto dall’essenza del vino?
Il tempo è una convenzione, un modo in cui noi esseri umani concepiamo la realtà. Nel vino, però, il tempo diventa il mezzo attraverso cui l’eternità si manifesta ai nostri sensi, permettendoci di viverla. Tuttavia, i vini sono di per sé eterni, prima e dopo, nel grappolo, nella pianta. Non è che diventino eterni solo dopo un certo percorso, ma è quel percorso che li rende percepibili dalla nostra sensibilità. Il viaggio è ciò che trasforma l’eternità in un’esperienza dell’esistenza. Quando beviamo, assaporiamo quella stessa eternità di cui siamo fatti.
Tutto ciò che esiste è già eterno e irriducibile. Per poterlo vivere, abbiamo bisogno di espanderlo nello spazio che chiamiamo esistenza, così da comprenderlo. La sfida è trovare la gioia nel vedere questo come il vero senso della vita, non solo come una questione di sopravvivenza. Non c’è una verità assoluta o un errore in questo, ma lo diventa quando trasformiamo questo significato nel nostro senso dell’esistenza. Vorrei che le persone, bevendo il vino, non si limitassero a dire che è buono (anche se, ovviamente, cerco sempre di creare qualcosa di unico e piacevole), ma che capissero che il vino è eterno, proprio come il liquido che stanno assaporando, un’esperienza tangibile dell’eternità.
Perché il mio vino è costoso? Perché rappresenta il valore di una vita intera, e non potrebbe essere altrimenti. Non si potrebbe comprendere il suo vero significato se non fosse così. È unico, esclusivo e immortale. Proprio come la vita di ognuno di noi.
Riflessione di Sonia: "Si potrebbe pensare che il passaggio dal frutto al vino sia un movimento in avanti. Invece, durante la fermentazione, abbiamo osservato che il processo va all’indietro: inizi con il frutto, poi senti il fiore, la linfa verde che scorre, quindi il minerale, fino a tornare al gusto primordiale della sorgente, alla linfa. Nell’affinamento, poi, il percorso non è lineare. Ci sono vini che seguono percorsi ciclici, tornano indietro, sembrano completati e poi ripartono da capo."
Perché definisci il tuo vino come il gusto dell’esperienza? E cosa significa per te berlo e quindi esperirlo, esperire un gusto o gustare un’esperienza?
Sono consapevole che il vino abbia un gusto, inevitabilmente per i nostri sensi: è il modo che abbiamo di percepire la realtà. Però, per quel che riguarda il mio vino, sono sempre più concentrato sul percorso che fa il vino come un'esperienza di vita fondamentale per lo sviluppo della mente, del pensiero e della nostra stessa esistenza. Quindi quella parte di gusto che non passa attraverso la sensorialità, quella che viene definita come metagusto, è la cosa più importante ed è quello che poi ci permette di assaporare quel vino come un'esperienza della nostra stessa esistenza, a prescindere dal gusto che abbia. Quindi questa cosa avvicina le persone a quel dialogo con se stesse dove il vino diventa il tramite coerente per riportare la nostra mente al senso della nostra esistenza. Altrimenti diventa solo esperire un gusto e rimane distaccata, duale, separata e, con tutto il rispetto parlando, un'esperienza che non ha niente a che fare con il percorso che io credo ognuno di noi potenzialmente può fare.
Che cos’è Agrispazio? E perché vi definite artefici? Raccontaci di Orocoro come vino corale.
Agrispazio è un luogo in cui prevale la collettività. Qui ci piace coltivare innanzitutto i nostri sogni, ma anche quello che nasce spontaneamente dai campi, dove per coltivare si intende nel senso etimologico del termine di vivere e avere cura. In questo modo avere a che fare con la natura equivale ad avere a che fare con noi stessi. Per questo ci definiamo artefici non tanto dal punto di vista produttivo, quanto creativo. Ciò che facciamo insieme a Oreste Sorgente, Paolo e Marco Merighi, Sonia Doria, Igor Pasquale, Luigi Cagnoni e Marcus Chersich in Agrispazio riflette la stessa unicità che ha la coscienza di ognuno di noi. Tutti i nostri progetti a partire da Orocoro e Golem, i nostri vini corali, sono un’esperienza creativa dove ognuno di noi porta la propria sensibilità coralmente in un’unica esperienza che non riflette artisticamente tutti noi ma riflette la qualità che hanno le persone di lasciare accadere le cose rinunciando a qualcosa della propria individualità. Solo in questo modo è possibile permettere a tutti di poter raggiungere quello scopo che avevamo nella mente. Al contrario di quanto si possa pensare infatti, le persone in questo progetto non scompaiono, piuttosto portano sè stesse nel collettivo contribuiscono a creare un'entità nuova, che è altro da sè.
Giorgio e Sonia sono profondamente convinti di una verità che sentono propria: ciascuno di noi vive in base alla consapevolezza che ha del mondo e si nutre in armonia con la consapevolezza di chi è nel mondo.
Questa convinzione non è solo una riflessione, ma una scelta concreta che la coppia ha deciso di abbracciare pienamente, puntando a un modello di vita autosufficiente fondato su prodotti integri e autoprodotti. Con questo spirito, hanno scelto di aprire le porte di Casa Mercandelli a chiunque voglia avvicinarsi alla loro filosofia di vita.
Casa Mercandelli sta diventando un luogo di agri-accoglienza, dove gli ospiti possono assaporare il vino e il pane, accompagnati da erbe spontanee, uova e altri alimenti, che riflettono appieno l’essenza e i valori dei padroni di casa. In questo spazio unico, lontano dalle convenzioni, l'ospite si sente avvolto da un calore e una luce che invitano alla riflessione e a farsi qualche domanda e, chissà, a trovare qualche risposta.