Maschere e travestimenti. Anonimato e rappresentazione. Un connubio che trova spazio nella vita di uomini e donne da ormai millenni. Sono infatti antichissime le tradizioni in cui si osserva per la prima volta l’utilizzo delle maschere, come testimoniano le atellanae, antichi spettacoli latini, o ancora le successive commedie di Plauto fino alla tradizione medievale e al teatro tutto.
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Yeimi
Esteticamente iconiche e intrise di simbologia, le maschere italiane vantano ognuna una storia unica che corre lungo tutta la penisola. Arlecchino, ad esempio, maschera simbolo del Carnevale, nasce a Bergamo su ispirazione di uno dei personaggi fondamentali del teatro comico romano, il servo Zanni. L’iconico costume del personaggio è però cambiato totalmente nel corso del tempo, passando dalle umili vesti bianche a un variopinto abito a losanghe colorate introdotto a inizio del Seicento. A completare il suo iconico look poi un corto manganello nero, puntualmente usato dalla colorata maschera per azzuffarsi.
Questo viaggio nell’Italia mascherata prosegue fino alla costa napoletana, precisamente ad Acerra, città natale dell’antieroe per eccellenza: Pulcinella, da sempre simbolo dell’esuberanza e della comicità partenopea. La sua è una “mezza maschera”, che lascia il viso libero dalla bocca in giù, caratterizzata da un enorme naso ricurvo e da due piccoli occhi che fanno capolino dal centro del volto.
Dal mar Tirreno ci si sposta fino all’Adriatico e alla pittoresca laguna veneta, terra natìa di Colombina, maschera femminile simbolo che rappresenta una graziosa e furba servetta, amante di Arlecchino e desiderata da Pantalone, un’altra maschera della laguna. Quest’ultimo è un ricco mercante veneziano dal berretto rosso con calzamaglia e blusa in tinta, mantello scuro e maschera dal naso prominente.
La figura seria, in questo gruppo di caratteri ilari e vivaci, è Balanzone. Come si suol dire… nomen omen: il suo appellativo deriva dal termine bolognese “balanzan”, ossia bilancia, a indicarne il legame con la giustizia. L’austero personaggio, dalle guance rosse e l’abito nero, recita infatti discorsi colti con presunzione e saccenza.
Rappresentanti dello spirito piemontese sono, invece, le maschere di Gianduja e Giacometta. Il primo, vestito con pantaloni marroni, calze rosse e un panciotto giallo, si distingue per i suoi modi solari e generosi, con l’unica pecca di essere un po’ distratto. La maschera porta con sé la doja, tipico boccale della regione e una coccarda tricolore fissata sulla giacca. La seconda, sempre al suo fianco, è la sua sposa Giacometta, saggia e coraggiosa, con cui condivide gioie e dolori.
Attaccabrighe per eccellenza, ma dall’animo buono è Rugantino, il cui nome proviene dal romanesco “rugà”, cioè parlare con arroganza. In coppia con l’irruenta maschera capitolina, figura la sua consorte Nina - alle volte chiamata Rosetta - fieramente trasteverina, onesta ma anche lei un po’ testa calda.
Di origine siciliana è infine Peppe Nappa, maschera nata durante la commedia dell’arte. Pigro e ironico, stupisce il suo pubblico per la sua sorprendente agilità, con cui si destreggia in salti e danze acrobatiche per ottenere vino e cibo, la sua più grande passione.
Attraverso i personaggi del Carnevale, provenienti dal teatro, vengono messe in luce alcune delle sfaccettature dell’animo e, tra uno scherzo e l’altro, non si può che sottolineare l’importanza simbolica che assumono i loro ruoli e significati. Da Platone fino a Nietzsche, passando per Pirandello, la maschera si dimostra un elemento fondamentale della quotidianità dell’essere umano, che ogni giorno rivela la propria essenza scegliendo sempre quale tra le tante indossare.
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