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L’identità Arbëreshë: lingua, cultura e resistenza a Farneta

In Italia esistono luoghi che raccontano storie non scritte nei libri di scuola, mondi nascosti che pulsano di tradizioni secolari.

Nascosti tra le colline dell’Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, questi borghi custodiscono l'anima di un popolo antico: gli Arbëreshë, discendenti degli albanesi giunti sulle coste italiane nel XV secolo per sfuggire all'avanzata ottomana. Oggi, secoli dopo, il loro retaggio vive ancora, mantenendo un equilibrio affascinante tra passato e presente, tra l’Italia e l’Albania, in una danza identitaria che perdura da oltre 500 anni.

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Questi borghi non sono solo luoghi, ma veri e propri mondi sospesi nel tempo. Qui la lingua arbëreshë, un dialetto antico di origine albanese medievale, risuona ancora nelle case, nelle chiese e nelle piazze. Attraversando questi villaggi, si percepisce una continuità, come se ogni pietra ricordasse i passi delle generazioni passate. Parlare arbëreshë non significa solo comunicare, ma evocare, custodire e tramandare una memoria collettiva che racconta la resistenza di un popolo. Nelle scuole, l'insegnamento della lingua è fondamentale, non solo come strumento di comunicazione, ma come mezzo di conservazione dell’identità.

Durante le celebrazioni religiose, il clero arbëreshë celebra il rito bizantino, con i canti sacri che risuonano in lingua arbëreshë. Questo legame liturgico rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente, un richiamo ai tempi in cui la Chiesa cattolica e quella ortodossa erano più vicine. Per i giovani arbëreshë, partecipare a queste celebrazioni è un atto di fede ma anche un modo per riconnettersi alle proprie radici, opponendosi alla spinta verso l'omologazione globale.

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La cultura arbëreshë vive anche attraverso i gesti quotidiani, come la preparazione del cibo. Tutti gli insaccati e carni curate come salsiccia e prosciutto vengono fatte in casa, per potersi mantenere e da gustare anche durante l’inverno. Uno dei piatti più esemplari di pasta è la dromësat, conosciuta come “il piatto dei poveri”. La sua preparazione ha un elemento rituale: la benedizione della farina. Un mazzetto di origano essiccato viene immerso nell'acqua e utilizzato per spruzzare la farina, aromatizzandola. L’impasto viene poi lavorato a mano fino a formare grumi, che vengono cotti in un semplice sugo di pomodoro. Nelle occasioni festive, la dromësat si arricchisce con salsiccia arrostita e una spolverata di pecorino del Pollino. Tra le altre prelibatezze tipiche di Farneta troviamo anche la pasta con la mollica e il baccalà per il periodo del Natale, in quanto il pesce era raro e conservato per i giorni di festa, poiché difficile da reperire. Il vino, rigorosamente ‘fatto in casa’ accompagna ogni pasto.

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Nonostante l'anima antica, la cultura arbëreshë è viva e si proietta nel futuro. Progetti come Fili Meridiani, un’associazione di promozione sociale e territoriale con sede a Pallagorio, Crotone, sono un esempio di come si possa sostenere e valorizzare questa minoranza. Fili Meridiani si impegna a raccontare le storie di chi sceglie di restare, costruendo un dialogo tra passato e futuro, locale e globale. Promuovendo la multidisciplinarietà e la condivisione, l'associazione cerca di affrontare le sfide future partendo dal territorio. Organizzano anche corsi di lingua Arberëshë per principianti così da poter invogliare chiunque fosse interessato alla lingua e alla cultura ad imparare o a riprenderla in mano. In questo modo favoriscono a tramandare questo prezioso valore alle generazioni future, mantenendolo vivo.

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Un altro esempio è Voci Nascoste, podcast e mostra fotografica realizzati Chora Media e Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, in collaborazione con il Gruppo Lavazza. Il podcast esplora le lingue antiche italiane che resistono, tra cui l’arbëreshë, il patois valdostano e il greco-salentino della Puglia. Il progetto culmina in una mostra fotografica a Torino, unendo immagini e racconti per dare voce alle minoranze linguistiche italiane. Scritto da Valerio Millefoglie, narrato da Mario Calabresi con foto di Roselena Ramistella, Arianna Arcara e Antonio Ottomanelli, il progetto unisce parole e fotografie in una narrazione potente e suggestiva.

Gli Arbëreshë, con la loro storia di migrazione e resistenza, ci insegnano che l'identità non è qualcosa di statico, ma un processo in continua evoluzione. Il loro viaggio non è stato solo una fuga, ma una trasformazione, un adattamento che ha permesso loro di sopravvivere e resistere.